Celiachia e svezzamento
Da futura mamma celiaca uno dei miei pensieri principali inizia a essere rivolto allo svezzamento del mio bambino, ma soprattutto a quale iter seguire per comprendere se lui stesso dovesse essere affetto da questa problematica. In questo articolo ho pertanto scelto di rispondere ad alcune domande frequenti, ma anche raccontare quanto appreso fin ora da opuscoli rilasciati da AIC in merito a questo argomento.
Io sono celiaca, lo sarà anche mio figlio?
Questa è sicuramente una delle domande più ricorrenti che ci passano per la testa mentre siamo in gravidanza. Ammetto che se da un lato non lo reputo un problema, dall’altro mi spaventa il fatto di non accorgermene subito e vederlo stare male, dato che in prima persona so cosa si prova.
È bene però essere consapevoli di una cosa, trattandosi di una malattia autoimmune con predisposizione genetica, la probabilità sicuramente c’è di ereditarne la predisposizione, ma non è detto che la stessa poi si manifesti.
Cosa fare per diagnosticare per tempo la celiachia in un bambino figlio di celiaci?
Un fattore a vantaggio di un bambino nato con almeno uno dei genitori celiaci è la possibilità di giocare d’anticipo sul problema. Vediamola sotto questo aspetto, nel mio caso la diagnosi è arrivata a quasi 23 anni, nessuno nella mia famiglia è celiaco e si è scoperto solo in seguito che mia madre era predisposta geneticamente, ma tutt’ora non manifesta la malattia. Al contrario con mio figlio il monitoraggio potrà essere seguito sin dalla nascita essendo io stessa non solo geneticamente predisposta, ma avendo la malattia manifestata.
Parlando sia con il mio medico che con il nutrizionista che mi ha seguita dopo la diagnosi per aiutarmi a rimettermi in sesto, mi è stato pertanto suggerito di verificare sin dai primi mesi di vita la presenza o meno nel bambino della predisposizione genetica. Questo vale a dire verificare se possiede uno o entrambi i geni HLA-DQ2 e DQ8. Nel caso risulti negativo, ovvero non le possieda, non potrà mai manifestare la celiachia, al contrario se dovesse averne anche solo una delle due risulterebbe geneticamente predisposto, ma non è detto che la problematica si manifesti. Si fa presente che, in caso di positività, non significa che non potrà assumere glutine, ma che al contrario dovrà assumerlo come ogni altro bambino per vedere se il morbo celiaco si manifesterà o meno.
Proseguendo quindi con la dieta contenente glutine dovrà periodicamente essere sottoposto agli esami ematici per verificare i valori degli anticorpi anti-tTg, anti-endomisio e EMA.
È bene tener presente anche quanto emerso da alcuni studi nei quali è stato dimostrato come sia maggiore la probabilità di contrarre e manifestare la celiachia per il piccolo se un parente di sesso femminile di primo grado ne è portatrice (quindi la madre). Infine, la presenza di entrambe le coppie di geni HLA-DQ2 e DQ8 pare aumentino dell’80% la possibilità di manifestare la malattia rispetto a chi ne possiede soltanto una delle due, situazione che solitamente avviene entro il terzo anno di vita.
Come fare per capire se il bambino è celiaco?
In passato esistevano scuole di pensiero per cui i bambini nati da genitori celiaci dovessero introdurre il glutine nella loro dieta dopo i 12 mesi di vita in quanto la percentuale di rischio di sviluppare la patologia pareva essere inferiore. Col tempo questa teoria è stata messa in discussione più volte e, secondo una serie di indagini eseguite, si è giunti alla conclusione che l’introduzione tardiva di glutine non abbia alcun effetto sul manifestarsi o meno del morbo celiaco.
Per questa ragione i bambini nati da genitori celiaci si è stabilito debbano seguire il medesimo svezzamento di tutti gli altri, con introduzione di glutine tra il quarto e il sesto mese di vita del piccolo. Si è invece constatato come l’allattamento al seno sia utile a contrastare o comunque creare una barriera difensiva maggiore nell’intestino del neonato.
Analisi da effettuare per individuare la presenza del morbo celiaco
In questo quadro è quindi possibile affermare che, in seguito allo screening genetico, in caso di positività, il monitoraggio una volta introdotto il glutine nella dieta del bambino è indispensabile.
Tener monitorato lo stato di salute del piccolo, la crescita o eventuali sintomi evidenti che potrebbero suggerire la presenza di una problematica, associato a periodici esami del sangue per verificare la presenza di anticorpi anti-tTg, anti-endomisio e EMA. Già dopo qualche mese dall’introduzione di glutine, anche prima dell’anno di età, potrebbero risultare positivi nel caso in cui il bambino manifesti subito la celiachia. Pare inoltre che un ruolo fondamentale sia rivestito dalle infezioni contratte nei primi anni di vita, che sembra favoriscano la manifestazione della malattia.
Questi esami, anche se negativi, dovrebbero essere ripetuti periodicamente per tenere monitorata la situazione in maniera univoca, o in presenza di una sintomatologia che potrebbe rappresentare un campanello d’allarme verso la problematica.
In caso di positività è bene ricordare che i bambini, i neonati e gli adolescenti con genetica positiva, non sono più costretti a sottoporsi alla biopsia intestinale se i valori superano la soglia limite di dieci volte, in presenza di sintomatologia specifica o parenti di primo grado affetti da celiachia. Nei bambini di età inferiore ai 2 anni si consiglia inoltre di effettuare uno screening, tramite esame del sangue, anche degli anticorpi anti-DGP IgG.